La Belle Epoque del Palace

 

foto: Opening of The Palace with Grace Jones, 1978.
Picture by Christian Saramon

“[All’epoca] Le notti non erano mai troppo lunghe poiché il giorno pareva non esistere.
Il ritorno alla lucidità era per più tardi (spesso troppo tardi).
L’Aids, i radical chic e una paralisi progressiva degli spiriti hanno cambiato questa forma di vita per sempre.
Al posto di questa spensieratezza perniciosa abbiamo ereditato una serietà di superficie sterilizzante.
All’epoca non era vietato fumare in un luogo pubblico.
Immaginatevi le notti al Palace senza sigarette o canne…”
Karl Lagerfeld

La Belle Epoque del Palace

«Era la futilità totale. Non pensavo che a cose leggere. Ci svegliavamo e ci dicevano: dove andiamo a cena stasera, con chi ci proviamo, che facciamo per divertirci? Giorno e notte, fu il periodo più spensierato ch’io abbia mai avuto in vita mia».
Così Betty Catroux riassumeva lo spirito di quegli anni: gli anni Settanta o, come si dice ancora oggi in Francia, “les années Seventies”. Chi, tra coloro che appassionandosi alla storia degli eccessi degli Anni Folli (vagamente identificabili negli anni Venti e Trenta) non ha mai pensato, a volte, ai meravigliosi anni Settanta che, assieme agli Anni Folli, condividono l’adorazione per il glamour, il lusso, il culto di tutti i piaceri, della spensieratezza, dell’eleganza? Questi anni Settanta sono talmente vicini al nostro 2015 che molti di quelli che li vissero sono ancora tra noi, al contrario di Scott Fitzgerald o Jean Cocteau. Ma, a volte, avendo vissuto un’epoca così formidabile, si pena a rendersi conto del fascino che questa può esercitare sulle generazioni più giovani.

In Francia, e a Parigi soprattutto, si comincia a rendersene conto recentemente grazie (o a causa) di due film appena usciti, entrambi dedicati alla vita di Yves Saint Laurent. Al di là delle critiche che le due biopic hanno naturalmente acceso, al di là dell’effettiva veridicità delle loro messe in scena e dei personaggi, queste due pellicole partecipano anche loro al rinascimento culturale che rimette i Seventies, in qualche maniera, alla moda tra quei giovani che oggi amano l’art de vivre, la storia della moda, il vintage, e soprattutto (soprattutto!) amano fare la festa.
Parigi, in quegli anni, era la sublime capitale del lusso e della moda. Il posto lasciato libero da Chanel (deceduta nella sua suite all’hotel Ritz nel 1971) era enorme. E tuttavia, già nel maggio del ’68, un buon numero di ragazzi e ragazzi erano stufi di dover somigliare alle loro madri e padri. Il giovane Saint Laurent giunse al momento buono per far evolvere una rivoluzione culturale che, nella moda, aveva trovato il suo manifesto più evidente ed efficace.

Kar Lagerfeld probabilmente giocò un ruolo altrettanto importante che il suo amico-rivale. Era sempre circondato da una allegra banda di eccentrici appena sbarcati dagli Stati Uniti, Donna Jordan, Corey Grant, Jerry Hall, Pat Cleveland, ma anche Paloma Picasso, Antonio Lopez… una banda di giovani frizzanti, tutti decisi a farsi notare, e a conquistare la città. Nutriti di letteratura decadente, d’arte contemporanea (molti di loro sono intimi di Andy Warhol) come di arte antica, erano attentissimi alla loro immagine quanto alla loro capacità di creare lo scandalo. Frequentano il caffè Flore a Saint-Germain nel pomeriggio (prima che diventasse una giostra per turisti cinesi), e cenano alla Coupole la sera, a base di champagne. La maggior parte di loro sono al verde, ma ha importanza? Conducono la vita che hanno sempre desiderato avere, e questo è l’essenziale. Come dirà Thadée Klossowsky: “In fondo, nessuno di noi era davvero interessato alla realtà!”.
Si fa festa quasi ogni sera. Ci si incrocia nei cabaret di Montmartre o negli appartamenti dei numerosi amici: la capitale non ha ancora che pochissimi luoghi di ritrovo notturno. Ogni occasione è buona per vestirsi il “più” possibile (le parole d’ordine sono chic, sexy e glamour), per bere fino allo sfinimento, per prendere cocaina o Mandrax.
Il locale più gettonato è, in questi primi anni Settanta, un club chiamato le Sept (il Sette). Questo si trovava appunto al numero 7 della Rue Saint-Anne, a due passi dall’Opera e dalle Tuileries: il quartiere era conosciuto come l’esagono gay parigino per eccellenza. Ma il Sept non era esclusivamente un locale per soli gay: coloro che lo frequentavano se ne ricordano come di una discoteca molto selettiva e tuttavia apertissima, dove tutti i sessi, tutti i gusti e tutti i livelli sociali si ritrovavano spalla a spalla per fare conoscenza, ballare, divertirsi, mostrarsi. Secondo Guy Cuevas, il Dj del club, “Non bisognava essere ricchi né celebri, bisognava essere belli [1]”. Lagerfeld e Louboutin ricordano con nostalgia come in quest’epoca non si potesse uscire senza trucco, gioielli, senza tacchi o senza ciglia finte, senza giacca e camicia, cravatta e… chi più ne ha, ne metta. Passare inosservati era giudicato ben poco cool. Passare meno di tre ore a prepararsi prima di uscire era giudicato “ringard [2] ”. Al Sept le creature della notte parigina si davano rendez-vous ogni sera, e la sola ragione per cui ne uscivano alle prime luci dell’alba era che avevano la sicurezza di poterci ritornare la sera stessa.

Questa formidabile commistione di razze, culture e conti in banca trovò un luogo di incontro ancora più splendente qualche anno dopo, all’8 di Rue du Faubourg Montmartre. Quest’antico teatro, aperto nel 1912, era solo uno dei numerosi music-hall in stato di abbandono della città. Quel che il proprietario del Sept, il re della notte Fabrice Emaer, decise di farne resta nella leggenda dei locali notturni della capitale. Il Palace conobbe il suo momento di gloria tra il 1978 e il 1983: cinque anni di concerti, di serate in maschera, di divertimenti e di stravaganze folli e generose.
La grande sala venne totalmente rinnovata, restituendole le decorazioni d’origine, e venne equipaggiata da giochi di luci e laser molto elaborati per l’epoca. Il Palace poteva, (e può ancora oggi [3]), accogliere 2000 persone nello spazio vacante lasciato dalle poltrone del parterre, trasformato in un’immensa pista da ballo. Fabrice Emaer metteva in moto tutta la sua arte per riempirlo ogni sera. Era dalla fine della seconda guerra che Parigi non aveva conosciuto un altro posto altrettanto magnifico, e il Palace divenne preso la locomotiva della vita notturna della capitale.
La discoteca venne inaugurato con un concerto di Grace Jones il 1 marzo 1978. Da allora in poi, numerosissime furono le vedettes planetarie che venivano al Palace per cantare, esibirsi o semplicemente divertirsi. L’ambiente voleva essere scintillante, mondano, divertente, orgiastico, oltre che fortemente erotico: le ragazze, spesso modelle o aspiranti muse, danzavano a seno nudo sui tavoli, mentre i camerieri, vestiti in rosso e oro da Thierry Mugler, erano sempre pronti a sorridere ai clienti interessati. Lo champagne scorreva a fiumi. La notte si prolungava in una frenesia eteroclita, cosmopolita fatta di sesso, droga e… musica disco.
Ma il Palace era nato su basi instabili: i proprietari e i gestori non avevano chiesto prestiti alle banche bensì agli industriali. Questa eccezionale discoteca era stata fondata senza soldi, ed era probabilmente costata più cara di quel che avrebbe dovuto: e, come le regole della gestione della clientela erano le stesse del Sept (champagne offerto alla maggior parte dei festaioli, conti distribuiti a casaccio e in ritardo ai clienti più ricchi, e risolutamente mai all’altezza delle consumazioni…) la decadenza cominciò ben presto a farsi sentire – bizzarramente, ben più tardi di quel che immagineremmo oggi. I visagisti alla porta presero a ricevere l’ordine di far entrare sempre più gente, senza selezionare troppo all’ingresso le persone con le tenute più straordinarie, una regola che agli inizi era invece categorica.

L’aristocrazia della moda prese allora ad evitare le serate al Palace: troppo “commerciali”, troppo popolari. Per incoraggiarli a venire venne aperta, con gran successo, un secondo piano nel sottosuolo del Palace, il Privilege. Quest’ultimo era fortemente VIP rispetto al piano terra, e i nuovi bright young people poterono qui ricominciare a gestire la moda parigina, e quindi il mondo, sfarfallando tra i divanetti al ritmo della musica del très chic disc-jockey Guy Cuevas.
Qui, le bande di Saint Laurent e di Lagerfeld si incrociano, si divertono o si detestano, ma fa lo stesso: in fondo partecipano tutti allo stesso spirito di follia e di festa perpetua che i giovani preferiscono coltivare anziché preoccuparsi del loro futuro. La maniera di vestirsi esprimeva tale volontà: «La vecchiezza della moda delle nostre madri era stata soppiantata dalla cosiddetta giovanilità degli abiti di Courrèges o di Ungaro. Ma tra di noi, voglio dire Berry e Marisa Berenson, Anjelica Huston, Jane Gozzett o io stessa, nessuno voleva portare quelle cose là. Ricordo di come le mie fantasie, le mie aspirazioni, le mie attese trovarono risposta in un libro interamente consacrato alla straordinaria voluttà, alla sinuosità perversa dell’Art Nouveau» (disse Joan Juliet Buck).
La fascinazione per l’Art Nouveau, tipica dell’inizio degli anni Settanta, trovò uno sbocco naturale nell’amore folle verso l’Art dèco. Gli anni 1920-1940 erano tornati. Gli anni “folli” attiravano una generazione nostalgica dell’opulenza e della spensieratezza, reale o supposta, di quei tempi passati. Nel corso del regno dell’austerità modernista degli anni Cinquanta questa tendenza artistica era stata trattata con gran disprezzo ché assimilata ad una forma di lusso indecente. Da nessun’altra parte nel mondo il ritorno dell’Art dèco fu altrettanto trionfante che nel circolo della moda parigina, la cui aspirazione era proprio quella di riuscire a vivere quotidianamente in un tale lusso indecente.
Nessuno in particolare interpretò il ruolo di factotum di tale mania, anche se è certo che Lagerfeld ne fu un ispiratore fondamentale: fin dalla più giovane età si compiaceva nel vestirsi con abiti tre pezzi, cravatte a farfalla, solini staccabili… il suo appartamento era decorato con un gusto sublime e nevrotico degno di un collezionista. Chi ricorda la casa di Karl in questo periodo esita a volte a descrivere la decorazione come quella del set di un cinema. In quest’ambiente tutto è là per stupire, tutto è scenografia, tutto è finzione. E che finzione!

1. Cuevas dice “beau”, che in francese può anche voler dire affascinante, sexy, interessante, bello, ben vestito. Il Sept è oggi un ristorante giapponese.
2. Parola intraducibile: designa un qualcosa di “out”, di passato di moda, di pesante, di vecchio: è il contrario di cool.
3. Anche se, oggi, è tornato ad essere un teatro con le sue poltrone, abbandonando la sua vocazione di discoteca dopo anni di abbandono, occupazioni e infruttuosi progetti di riabilitazione.

Questo articolo è da leggersi in relazione a quello su Jacques de Bascher dello stesso autore.
Si ringrazia Philippe Heurtault per le foto. 

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Anna Piaggi and Jacques de Bascher. Photo by Philippe Heurtault

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Paloma Picasso and Manolo Blahnik at Grand Bal “Magic City” 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Guests at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Guests at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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a guest at Kenzo Birthday at Palace, 1978 and Jacques de Bascher at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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A guest and Edwige Belmore with Thierry Mugler at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Jerry Hall and Mick Jagger at Kenzo Birthday at Le Palace, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Mick Jagger, Jerry Hall, Johnny Pigozzi  at Kenzo Birthday at Le Palace, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Alexis de Redé at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Marie Beltrami at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Marie Beltrami at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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 Eva Ionesco without panties at Grand Bal “Magic City”, 1978. Photo by Philippe Heurtault

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Irina Ionesco

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a rare picture of the indoor of Le Sept Restaurant

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Karl Lagerfeld and Anna Piaggi

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Fifi Chachnil. Picture: Morillon

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Paquita Paquin and Guy Cuevas at Privilege

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A guest. Picture by Philippe Morillon

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Picture by Philippe Morillon

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Yves Saint Laurent

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Yves Saint Laurent and Thadee Klossowski

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Le Palace magazine n°1 cover with Grace Jones; Pacadis, Babette and Eva Ionesco

Karl Lagerfeld et Paloma Picasso

Karl Lagerfeld and Paloma Picasso at the Venetian Ball at the Palace in Paris, 1978

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Paloma Picasso and Yves Saint Laurent at Le Palace in Paris for wedding of Loulou de la Falaise and Thadée Klossovski, 1978

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Marina Schiano, Rafael Lopez Sanchez, Pierre Bergé, Yves Saint Laurent, Paloma Picasso, and Bettina Graziani at The Palace, 1980s

 


He is an italian but Paris-based illustrator and essayist especially skilled in male fashion and dandyism.

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