Alexis de Rédé

L’importanza di chiamarsi Alexis
di Giovanbattista Brambilla
(pubblicato in “PRIDE” settembre 2008)
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L’ambiente  

Oggi parliamo di cose talmente frivole da essere superflue. Cioè di un personaggio leggendario come il barone Alexis de Rédé (1922–2004), che non m’è neppure tanto simpatico. Innanzitutto, perché non è né abbastanza pazzo, né abbastanza creativo per meritarsi, secondo me, un posto d’onore nell’olimpo della storia gay. Eppure fu, a suo modo, specchio dei suoi tempi e vertice eccelso ed inimitabile di come poter trasformare la propria esistenza in un’opera d’arte. Lussi smaccati, estetismo esasperato, puzzo sotto il naso perpetuo e stronzaggine. Nonché lampante dimostrazione pratica di come un giovane omosessuale di buona educazione, povero ma piacente, con nebbia e fumo, buon gusto, pelo sullo stomaco e stizza, potesse arrivare ai vertici del Gran Mondo internazionale. Il top-del-top, cui un certo genere di favolosità finocchia bramava ad ogni costo. 

Tutto un universo che oggi non esiste più. Sarebbe proprio il caso che sulla tomba di Alexis qualche chicchissimo ammiratore incidesse il motto di Louis XV : “Après-moi le déluge”. Tutto un trantran di ricconi appassionati d’arte e giovanotti presuntuosi. Sempre in viaggio per il mondo tra feste e yacht, cui immensi patrimoni garantivano libertà ed immoralità, impensabili ai comuni mortali. Obiettivo assai ambito, perché oltre al prestigio e denaro, soddisfazioni di sfizi, sfizietti e capricci, si poteva avere l’illusione della più sfacciata libertà omosessuale, all’interno della gabbia dorata in cui erano rinchiusi. Un pazzo mondo di sperperatori internazionali, con alle spalle enormi rendite industriali (macchine da cucire, pozzi di petrolio, ferrovie, ecc), esploso con la cosmopolita Belle Epoque tra la fine dell’800 e primi ‘900. Per poi rinascere impazzito con la cafè-society tra le due guerre mondiali, gli Anni Folli appunto, e risbucare negli anni ’50 con la jet-society della Dolce Vita. Ed è a questa ultima fase, fino agli eccentrici anni ’70, che appartiene de Rédé.

C’è da dire che oggi gli sperperi e frivolezze continuano, ma in modo assai volgare, sterile e in privato. Ad opera di miliardari russi e arabi. Senza l’immensa cultura e il gusto, per le cose belle e raffinate, che avevano i loro predecessori. Non esiste più tutta la cornice mondana dell’individualismo ed esibizionismo luccicante, cui il barone de Rédé diede lustro e spettacolarità, come un ultimo e splendente fuoco d’artificio.

Alexis in 1940, shortly after his arrival in New York, age 18;
 at the Stork Club with Lady Mendl’s famous poodle Blu Blu, circa 1945. It was at the Stork where he first met Lopez-Wilshaw in 1941.

Le origini 

Nato nel 1922 a Zurigo, figlio di un ricchissimo banchiere ebreo austriaco di nome Oscar von Rosenberg, divenuto cittadino del Lichtenstein, fu uno degli ultimi a ricevere titolo nobiliare, barone de Rédé appunto, dall’Imperatore Francesco Giuseppe nel 1916. Poco prima che morisse il monarca e sparissero del tutto gli Asburgo. In seguito su tale titolo si sarebbe molto spettegolato, specialmente la brillante e mitica scrittrice Nancy Mitford, perché non figurò mai, ufficialmente, nell’ “Almanach de Gotha”. Anche la madre di Alexis era una ricca ebrea. Tedesca della famiglia von Kaullas, co-proprietaria della Banca del Wurttemberg con i sovrani di quel regno.

Il giovane de Rédé, per convenienza, fu cresciuto Protestante e visse negli stralussi d’una suite di 16 stanze a Zurigo, con la madre, fratello e sorella. Il padre si faceva vivo occasionalmente. Quando Alexis aveva 9 anni, nel 1931, la madre raggiunse il marito a Vienna e qui scoprì che in realtà lui manteneva un’amante a Parigi. Dallo shock, morì tre mesi dopo di leucemia. I figli furono spediti, di gran foga, nell’esclusivo collegio svizzero di Le Rosey ed ebbero come compagni la créme de la créme internazionale: il futuro Scià di Persia Reza Pahlavi, Ranieri di Monaco e altri. Nella sua autobiografia, Alexis dichiarò che l’unico grande amore della sua vita fu proprio un compagno di scuola polacco.

Ma le disgrazie non erano finite, Alexis s’accorse dell’arrivo del nazismo quando un suo compagno tedesco annunciò che non gli avrebbe più parlato, perché ebreo. Nel 1938 Hitler aveva invaso l’Austria. L’anno dopo il padre di Alexis si suicidò a causa di problemi finanziari. Ai tre figli non spettò che una piccola rendita di 200 dollari mensili (dieci volte il valore attuale) da una polizza assicurativa. Non sapendo che fare, il giovane Alexis preferì andare a New York in cerca di fortuna.

With the Duchess of Windsor, in Paris, 1947.

Esule in America 

Pur sempre esule, ma con gran classe, sbarcò fiero brandendo la valigia e un ombrello, comprato dal trés chic Swaine & Adenay di Londra. Meglio il lusso che niente. Dopo alcuni mesi si trasferì a Los Angeles, trovando lavoro presso un antiquario in Melrose Avenue. A quei tempi un accento europeo dava charme. Implicava sofisticazione, intelletto e un attitudine al sesso facile “vivi e lascia vivere”, assai estranei al puritanesimo locale. E il 18enne Alexis fece furore. Le sue tendenze omosessuali ebbero libero sfogo ed era chiaro che gli piacessero uomini molto più anziani di lui.

Entrò nel rutilante mondo dell’irrefrenabile e celeberrima arredatrice lesbica Elsie de Wolfe (1865-1950), la nobile Lady Mendl, regina del bel mondo di “Vogue” e le cui gesta eccentriche erano narrate ogni giorno nelle cronache mondane. Un vero genio del gusto e della promozione personale. Da lei conobbe anche il surrealista Salvador Dalì, con cui tornò a New York nel 1941 e lì vi rimase fino alla fine della guerra, sguazzando nei party dei ricchi esuli europei.

Arturo Lopez-Wilshaw, photographed by Cecil Beaton at his house at 14 rue du Cenetre in Neuilly, now the Musee de Neuilly.

Lopez, l’amante di una vita 

Una notte, durante una festa data dallo zio di Peggy Guggenheim, fu presentato al ricchissimo cileno Arturo Lopez-Wilshaw, il cui impero derivava dal “guano”, cioè dallo sterco dei pipistrelli venduto come concime. Mai tanta merda aveva portato tanta fortuna: a Parigi s’era comprato un antico palazzo di Neuilly, riempito d’opere d’arte antica e vi dava stravaganti feste mascherate. Naturalmente era gay, ma alla ricerca di eredi che non vennero mai, sposò sua cugina Patricia Lopez-Huici. Il patrimonio raddoppiò ed in più lei era nipote di Eugenia Errazuriz, la più grande patrona del modernismo: da Sargent a Whistler, Cocteau, Diaghilev o Tchelitchew , tra i molti protetti.
Lopez era senza freni, in Europa era stato l’amante di ben due gemelli, i famosi e bellissimi Rocky Twins che si esibivano nei cabaret. L’incontro con Alexis fu tanto fortuito, quanto assai fortunato per entrambi.

Alexis, a sua insaputa, si ritrovò in mezzo a una faida. Lopez era appena stato lasciato dall’inglese Tony Pawson. Costui era celebre per il suo colorito rosa, perché già da adolescente la madre adorava incipriarlo in continuazione per non farne notare la crescita della barba. Era stato l’amante, anche, del giovane re Pietro di Jugoslavia (1923-1970). A Parigi, Lopez aveva piazzato Pawson in un appartamento storico, in cui predominava la presenza del letto della regina Maria Antonietta. Immagino, un non plus ultra per le checche di quello stampo. Ma Pawson incontrò il ricchissimo ribelle e cocainomane Jimmy Donohue (1915—1966), cugino dell’ereditiera Barbara Hutton (moglie di molti gay, tra cui l’attore Cary Grant). Costui gli propose molti soldi per mollare l’anziano Lopez e andare a folleggiare con lui a New York. Lì si precipitò pure Lopez per beccarli in flagrante. Ma quella sera Lopez incontrò Alexis de Rédé e se ne innamorò, offrendogli un milione di dollari (dell’epoca) per diventare il suo “protégé”. Nel mercato dei marchettari d’alto bordo, tale cifra passò alla storia. Alexis volle rifletterci.

Lopez ritornò a Parigi dove si riprese gli arredi di casa Pawson, tranne il celebre letto che per legge non poté essere tolto in caso di sfratto. Nel frattempo Donohue aveva mollato Pawson e a lui non restò che tornarsene a Parigi. Per giorni le tout Paris non parlò altro che dell’espressione di shock, sul suo volto incipriato, appena varcata la soglia di casa. La Hutton ne ebbe così pena che gli regalò un’altra casa. Che chic!
Tra Tony Pawson e la Hutton ci fu un altro aneddoto divertente: al ballo in maschera del ricco messicano Carlos de Bestegui, nel 1951 a Palazzo Labia di Venezia, si ritrovarono con l’identico abito nero di Balenciaga. Tra costume ed incipriatura rosa mummificata, vennero scambiati l’uno per l’altra in continuazione. La Hutton da quel giorno cambiò decisamente stilista.

Arturo Lopez-Wilshaw, Alexis, and Jean Cocteau in St. Moritz;
Tony Pawson

James Paul Donahue, Jr. (the Woolworth heir) arrives in New York on the SS Bremen, 1934.

Barbara Hutton with Lopez-Wilshaw at a ceremony where he received the Legion d’Honneur;
Patricia Lopez Wilshaw and the Duke of Windsor at the same ceremony.
Photos: Andre Ostier.

Balli parigini e ultimi anni 

Pawson morì povero ma tornò ad essere amico di Lopez e del suo entourage. Nel 1946, insieme a Dalì e Lady Mendl, Alexis era tornato in Europa e accettò l’offerta di Lopez. Il sodalizio ebbe aspetti miracolosi e duraturi. Naturalmente in allegro terzetto con la moglie Patricia nella reggia a Neully. Attorniati dalla gaya corte di musicisti ( Sauget, Auric, Poulenc), dal pittore Christian Berard e dalla poetessa e anfitriona del Surrealismo Marie-Laure de NoaillesAlexis era un vero Re Mida e tramutava in oro ogni affare o commercio d’antiquariato. Anche le sue feste in maschera, dal 1949 nella sua propria reggia all’Hotel Lambert, erano motivo di public relations ed affari. In più fece fare fruttuosi investimenti pure a Lopez. Fu Alexis a lanciare i designer Pierre Cardin e Yves Saint Laurent.

Nel 1962, Arturo Lopez morì e lasciò in due parti uguali i suoi averi ad Alexis e alla moglie Patricia. Si disse anche che ne fosse stato adottato, legalmente, come figlio. L’eredità fu investita nella banca del principe zu Loewenstein, di cui divenne vice-presidente. Fondò anche una società specializzata in investimenti d’opere d’arte e divenne amministratore unico dei soldi guadagnati dai Rolling Stones. Convinse l’amico banchiere Guy de Rothschild a comprare, e restaurare ad arte, il resto dell’Hotel Lambert e a dare lui stesso altri esclusivissimi balli in maschera di gran classe. Cui parteciparono vip del calibro di Liz Taylor e Andy Warhol.
Alexis de Rédé morì nel 2004. Immediatamente, gli eredi, mandarono all’asta da Sotheby’s tutti i suoi preziosi averi. Raggiungendo il vero record inaudito di 7,1 milioni di euro e non un solo oggetto rimasto invenduto.
Anche postumo, Alexis aveva fatto centro.

Maria Callas and Alexis de Redé, 1968

Alexis de Redé with Elizabeth Taylor and Liza Minnelli. 1960’s

Pictures sources: newyorksocialdiary.comtheesotericcuriosa.blogspot.it; loveisspeed.blogspot.it.

Bal Oriental:

Il Bal Oriental si tenne all’Hotel Lambert il 5 dicembre del 1969. Erano state invitate circa 400 persone. Il Labert era stato allestito in tema Mille e una notte, con profumi di mirra e gelsomino. Nel cortile c’erano due enormi elefanti di cartapesta, sullo scalone d’entrata due musici indù e ben sedici uomini abbigliati come schiavi nubiani che reggevano le torce. Alexis de Redé impersonificava un principe Mogul con un vestito di Pierre Cardin.

Per sapere di più sul Bal Oriental vedere qui.
To know more about the Bal Oriental go here

a guest and Alexis de Redé

Baroness Marie-Hélène de Rothschild and Redé

Baron de Rede greeting his guests, dressed as a Mogul prince in a costume designed by Pierre Cardin for Le Bal Oriental. Photo: Andre Ostier.

Brigitte Bardot and other guests

Brigitte Bardot

Salvator Dalì and Amanda Lear

drawings of the Ball Oriental by Alexandre Serebriakoff

Hotel Lambert:

Alexis inside the Hotel Lambert

The garden of the Hotel Lambert (owners standing in the open window)

The Hercules Gallery at the Hotel Lambert named for its original owner, Jean-Baptiste Lambert, Private Secretary to Louis XIII. Voltaire lived there briefly in the 1730s.

interior drawings by Alexandre Serebriakoff


Photographer and photography collector, journalist and researcher, particularly experienced about gay culture, camp and stardom.

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