La Rocchetta Mattei, il castello orientale del conte scienziato

Dove: Via Rocchetta, 46A, 40030 Grizzana Morandi BO
Orari: sabato e domenica, visite solo su prenotazione e con guida
Web: rocchetta-mattei.it

Sembra impossibile immaginare il profilo di un castelletto moresco, con tanto di cupole, tra le colline bolognesi. Fu costruito da Cesare Mattei, una delle personalità più conosciute della società bolognese del 1800. Alfonso Rubbiani, che lo conosceva, lo definì un “originale impasto di feudatario, di taumaturgo, di elemosiniere, di artista”

La Rocchetta Mattei non era solo la sua casa, ma anche la sede dei suoi studi ed aveva un ruolo importante nell’immagine della sua azienda farmaceutica, tanto da essere raffigurata sulle etichette dei medicinali. Fu lui a volerla costruire in questo bizzarro stile eclettico che mischia il medievale con il moresco. Per molti versi rimane ancora misteriosa, poiché niente è pervenuto degli studi, disegni, carte del progetto originale, in quanto tutto è andato distrutto durante l’occupazione tedesca. 

Il solo paragone possibile, in Italia, è quello con il Castello di Sammezzano, suggestivo maniero in stile moresco situato nella piccola località di Leccio nel comune di Reggello, costruito dal Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona nel corso del 1800, sulle rovine di un antico castello. Tuttavia il revival e lo stile eclettico avevano aperto le porte alla ripresa dei più disparati stili architettonici, come poi farà Coppedé. Nel 1850 Frederick Stibbert compra la sua villa Montughi (poi Museo Stibbert) e, sempre a Firenze, negli anni ’70-’80 gli architetti Falcini, Micheli e Treves costruirono la Sinagoga in stile orientale. Per certi versi, però, l’idea della chiusura dal mondo, della creazione di un regno fantastico e irreale è molto vicino alle follie di Ludwig di Baviera, oppure ancora alla casa di Pierre Loti.

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Il conte scienziato

Il nome di Cesare Mattei (1809-1896) oggi non dice nulla, ma nella sua epoca era molto famoso e non solo in Italia. Era nato da una famiglia agiata e appena diciottenne, alla morte del padre Luigi, ereditò l’ingente patrimonio famigliare. Nel 1837 fu uno dei fondatori della Cassa di Risparmio in Bologna e venne anche eletto, nel 1848, deputato al Parlamento di Roma. Il titolo di conte gli fu dato nel 1847 da papa Pio IX per la cessione allo Stato Pontificio di un possedimento strategico nel ferrarese. La sua vita cambiò quando, nel 1850, morì sua madre a causa di un tumore e da quel momento lasciò gli agi mondani della città e decise di ritirarsi dalla vita politica per dedicarsi allo studio della medicina. Nello stesso anno acquistò dei terreni poco fuori Bologna, dove sorgevano le rovine dell’antica rocca di Savignano, e il 5 novembre pose la prima pietra del castello, che chiamò “Rocchetta”. 
In tutta la sua vita il conte si dedicò a due cose: la ricerca scientifica e la costruzione del suo castello. Le due cose andavano di pari passo e la Rocchetta divenne una specie di turris eburnea in cui rifugiarsi, un castello fantastico e misterioso, pieno di simboli ed emblemi ispirati agli studi medici ed esoterici del conte. 

Siamo a metà dell’800, in pieno positivismo scientifico, l’energia elettrica era una scoperta recente e il conte inventò una specie di scienza chiamata elettromeopatia che si basava sul principio delle cariche elettriche. Partiva dal concetto secondo il quale il nostro corpo è fatto di cariche elettriche che, durante uno stato di malattia, vengono alterate. I suoi composti medicamentali univano il potere delle erbe con quello dei liquidi elettrici, usati poi sul corpo per bilanciare le polarità, analogamente alla medicina tradizionale cinese. Oggi sono teorie ingenue e strampalate, ma all’epoca moltissime persone lo seguivano e compravano i suoi medicamenti, tanto che divenne molto ricco e creò una vera e propria impresa commerciale con sedi in Europa, America e Asia. Pare che tutt’oggi, in India e in Pakistan, molte farmacie abbiano ancora il suo ritratto. Tra coloro che usavano i suoi medicinali ci furono Ludwig di Baviera e Gioacchino Rossini che, mentre si trovava in Francia, cercò di far certificare questi preparati. Era molto famoso e rispettato tanto che S.A.R. il Principe di Piemonte andò a trovarlo ufficialmente alla Rocchetta.

Il suo nome viene citato da anche Dostoevskji ne I fratelli Karamàzov, quando fa raccontare al diavolo di essere riuscito a guarire da terribili reumatismi grazie a un libro e a delle gocce del Conte Mattei: «Ma che filosofia e filosofia, quando tutta la parte destra del corpo mi si è paralizzata e io non faccio che gemere e lamentarmi. Ho tentato tutti i rimedi della medicina: sanno fare la diagnosi in maniera eccellente, conoscono la tua malattia come il palmo delle loro mani, ma non sono capaci di curare. [..] Disperato, ho scritto al conte Mattei a Milano, che mi ha mandato un libro e delle gocce, che Dio lo benedica.» 

Cesare Mattei all’età di 75 anni

La Rocchetta

Quando il conte acquista i terreni a Riola, un piccolo paesino che si trova sul fiume Reno, a metà strada tra Bologna e Pistoia, non c’erano nemmeno le vie di comunicazione. Era un promontorio con delle rovine abbandonate, ciò che rimaneva di una fortezza medievale, e scelse quella zona perché era disabitata e per la posizione strategica che gli assicurava un’ottima vista su tutta la vallata. Non si sa invece perché scelse quello stile, così astruso e atipico per la zona; si pensa che avesse visitato la Grande Esposizione a Londra nel 1854, in particolare la ricostruzione del Patio de los leones del Palazzo dell’Alhambra fatta da Owen Jones, il progettista dei padiglioni dell’esposizione, del quale possedeva il libro The Grammar of Ornament, da cui trasse molte delle decorazioni orientaleggianti per la Rocchetta. 
La costruzione inizia nel 1850 e già nel ’59 il conte vi fissa la sua dimora, anche se i lavori continueranno fino alla sua morte. Quello che possiamo vedere oggi è frutto di tanti interventi, anche successivi alla morte del conte, ma la costruzione originale è rimasta inalterata, in questo bizzarro stile eclettico che unisce il medievale e il moresco, con aggiunte liberty dovute ai suoi successori.

La Rocchetta è divisa in diverse parti, composte a loro volta da tantissimi ambienti: una volta percorsa una lunga scalinata in salita ed essere passati attraverso la porta monumentale, si arriva al cortile centrale, da cui si possono raggiungere le stanze pubbliche, le stanze private del conte e le stanze dedicate agli ospiti. Infatti nel suo castello, oltre a ricevere i suoi amici, c’era una parte dedicata agli ospiti paganti cioè pazienti che desideravano essere seguiti da vicino.

Tra gli ambienti pubblici a cui si accede dal cortile c’è la Sala dei Novanta (oggi bookshop) il significato non è ben chiaro. Pare che il conte volesse farne un convito di vecchi nonagenari, tra cui sarebbe figurato lui stesso una volta raggiunta l’età, ma morì prima e la sala fu terminata successivamente. Ha una pianta esagonale e non è escluso che i numeri siano legati a significati esoterici. La cosa più bella è l’enorme balconata che si affaccia sulla valle e da cui si può godere di una vista magnifica su Montovolo. In una vetrata sopra la porta è ritratto proprio il conte, con l’anno della sua nascita scritto a numeri romani.
La sala più famosa della Rocchetta è sicuramente la Cappella, una copia della Mezquita di Cordova: ha una forma irregolare al cui interno si succedono due ordini di archi a strisce bianche e nere che allungano prospetticamente lo spazio verso l’alto e lo rendono caotico, perché di fatto molto ridotto rispetto all’originale. Da un’entrata superiore si può accedere al livello più alto della cappella, in cui si trova la tomba del conte, contenuta in un sarcofago ricoperto di piastrelle dipinte con un cielo stellato e un’iscrizione.

la camera da letto del conte in una foto datata al 1885 circa.
Si nota nella corona del baldacchino la sagoma della rocchetta e la scritta in greco EUREKA

Dal cortile centrale, attraverso la Scala Nobile, si raggiunge un’altra zona, che è anche la più alta del castello, quella riservata agli ospiti e dedicata all’intrattenimento. Il Cortile dei Leoni è un altro spazio ispirato alla Spagna e più esattamente all’Alhambra di Granada. La fontana con i leoni al centro e i capitelli delle colonne sono una copia di quelli di Granada, che il Conte ha potuto studiare attraverso The Grammar of Ornament. Il cortile è circondato da un lungo corridoio panoramico da cui si vedono le montagne intorno e che collega il cortile alle altre sale. La Sala Rossa è decorata sul soffitto con piccole piramidi di cartapesta, che imitano lo stile mudéjar; la Sala della Musica oggi espone alcuni strumenti di riproduzione musicale meccanici; la Sala Verde era la sala in cui gli artisti si preparavano per le esibizioni. Tra le altre stanze c’erano una biblioteca, uno studio, la Sala dell’Oblio e la Sala della Pace, così chiamata per celebrare la fine della prima guerra mondiale ed infatti la scritta PAX è visibile sopra le porte.

La parte privata del castello, quella cioè in cui risiedeva il conte, oggi è ancora in restauro e non è visitabile, ma è possibile averne un’idea vedendo questo filmato. Erano le sale più ricche di manufatti e decorazioni e oggi sono gli unici spazi che conservano i pochissimi arredamenti originali. Qui entravano solo i familiari o ospiti eccezionali: una sala fu costruita per ospitare Papa Pio IX (la Sala Bianca), che però non venne mai. Verso la fine della vita il conte divenne un po’ paranoico e fece costruire, all’ingresso della sua camera da letto, un ponte levatoio che di notte veniva sollevato, così da essere sicuro che nessuno avrebbe potuto raggiungerlo. Questo era anche il luogo dei suoi studi e nella stanza più alta, la Torre della Visione, aveva voluto un affresco di sua ideazione: un’allegoria in cui la nuova medicina, che esce da un vaso, abbatte quella vecchia, raffigurata come un malefico uccello e la scritta vittima abbattuta giace. Pare infatti che l’invenzione dell’elettromeopatia gli fosse venuta in seguito ad una visione.

La Rocchetta era dotata anche di un giardino intorno (oggi non visitabile), costituito da due terrazze fra le mura del castello e lo strapiombo, che il conte aveva decorato con l’aggiunta di statue e altri arredi, andati in gran parte perduti. Erano luoghi di accoglienza per gli ospiti, soprattutto quello di fronte la Sala da Pranzo, in cui si tenevano i ricevimenti.

La sala della visione, in una foto datata al 1880 circa
Sulla parete sinistra si vede l’affresco, qui sotto in una foto recente di Bill Homes

La fine

Il conte era proprietario di un impero economico notevole, che gli consentiva di sostenere i continui lavori alla Rocchetta. Non aveva figli e chiamò a lavorare con sé suo nipote, figlio del fratello Giuseppe, destinato a diventare suo erede e co-intestatario di quasi tutte le proprietà. Negli anni 1887/1888 si verificò una gravissima crisi economica, dovuta ad errate speculazioni finanziarie fatte dal nipote, che rischiarono di mandarlo in bancarotta e di fargli perdere tutto. Dopo averlo cacciato, diseredandolo, adottò nel 1888 un suo collaboratore, Mario Venturoli, che lo aveva aiutato a venire fuori dalla crisi. Prima di morire però, anziano e paranoico, allontanò anche lui, credendo che la moglie volesse avvelenarlo. Dopo la morte del conte, nel 1896, la Rocchetta passa di proprietà al Venturoli, che portò a termine molti lavori lasciati incompleti e si occupò anche della sepoltura delle spoglie del conte nella cappella, così come da sua volontà, nel 1906.

Venturoli continuò a portare avanti l’azienda medica, anche se in realtà non gli furono trasmesse la formule segrete dei medicamenti, che andarono invece ad una figlia illegittima che il conte ebbe a 80 anni dalla sua governante prediletta. Quando nel 1937  Venturoli morì, la conduzione dell’azienda, così come la Rocchetta, passò a sua moglie, Giovanna Maria Longhi, che continuò la produzione. Negli anni della seconda guerra mondiale avvenne il declino progressivo della azienda elettromeopatica e la Rocchetta subì moltissimi danni e saccheggi, soprattutto a causa dell’occupazione dei soldati tedeschi: la maggior parte degli arredi originali in legno, così come moltissimi documenti, furono bruciati per riscaldamento e qualsiasi altro oggetto di valore fu depredato. Giovanna Maria Longhi, insieme alla figlia Iris Boriani, si trasferisce intanto a Bologna, dove muore nel 1956. L’azienda elettromeopatica, in un mondo ormai moderno, cessa del tutto la sua attività e dopo la morte di Iris Boriani, nel 1992, il segreto dei rimedi di Mattei passò prima alla figlia ed erede, Gianna Fadda Venturoli e poi, a seguito del decesso di quest’ultima nel 2011, alla nipote Alessia Marchetti

Intanto il castello, ormai in abbandono, viene acquistato da Primo Stefanelli nel 1952, che cerca di trasformarlo in attività commerciale; a questo periodo risale la costruzione di una finta prigione con sedicenti fantasmi, che aveva lo scopo di attirare i turisti, e il ristorante. Alla sua morte, nel 1989, la Rocchetta viene definitivamente chiusa al pubblico e abbandonata. Solo nel 2006 la Fondazione CARISBO (Cassa di Risparmio di Bologna) l’acquista e ne inizia l’enorme restauro, non ancora terminato, e la apre al pubblico nel 2019.

FONTI:
Le stanze ancora chiuse al pubblico si possono vedete questa puntata di Freedom 
Per conoscere in dettaglio la struttura architettonica della Rocchetta è fondamentale il testo di Bill Homes “La Rocchetta Mattei di Riola. Guida all’architettura e alla decorazione”, da cui ho tratto le foto d’epoca.

 

Entrata

Cortile centrale

Sala dei Novanta

Cappella

altri spazi esterni:

Cortile dei leoni:

Sala della musica:

Corridoio panoramico:

Altre stanze:

Sala dell’Oblio:

Sala della Pace:


Aesthete. Art historian & blogger. Content creator and storyteller. Fond of real and virtual wunderkammer. Founder and main author of rocaille.it.

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