Palazzina Cinese, Palermo

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Un re in fuga dalla storia

Immaginiamo un re di un grande regno del Mediterraneo in cui la natura fruttifica in abbondanza, la bellezza è spudorata e il tempo scorre lento. Un re che gode di questo splendore nelle sue regge sontuose, dai salotti preziosi e dai giardini immensi, con parchi vastissimi per la caccia e piccoli ninfei in cui riposare. Immaginiamo che questo re si veda invadere il suo stato repentinamente. La sua reazione, di fronte all’incombenza del nuovo, non sarà quella di fronteggiare l’avanzata nemica, ma di allontanarsi.

Siamo alla fine del Settecento: la Rivoluzione Francese, che aveva sconvolto l’Europa, aveva messo in crisi il vecchio ordine delle cose e l’idea della monarchia assoluta, tutto ciò che da sempre era ritenuto eterno, sembrò vacillare. Un homo novus, Napoleone, trionfava in tutta Europa in nome della Francia. Roma era stata da poco presa dalle truppe francesi, le quali avevano istituito la Repubblica Romana cacciando il pontefice Pio VI. In poco tempo anche Napoli fu minacciata e, nel 1799, fu fondata la Repubblica Partenopea.

C’è sicuramente paura nella decisione di Ferdinando IV di Borbone di fuggire da Napoli a Palermo, ma anche un poco di sdegno. La Casina Cinese, che sceglie come sua dimora d’esilio, rappresenta il disinteresse verso la storia, un baluardo di spensieratezza di fronte alla modernità che avanza.

Un luogo d’evasione

Una volta in Sicilia e alla ricerca di una dimora reale, Ferdinando si interessò alla zona verde a nord di Palermo, la Piana dei Colli, dove un secolo prima era avvenuta la fioritura di grandi ville auliche ad opera della nuova aristocrazia di toga. Aveva bisogno di un luogo di svago adatto alla villeggiatura della famiglia e soprattutto di un vasto territorio destinato alla caccia.
Così quando vide una piccola villetta in stile cinese, Villa delle Campanelle, così chiamata per una miriade di campanellini metallici che ne ornavano il prospetto e la recinzione e tintinnavano a ogni spirare di vento, ne fu immediatamente attratto. Il proprietario, Giuseppe Maria Lombardo e Lucchese, barone della Scala e dei Manchi del Belice, benché l’avesse costruita da poco, tentava faticosamente di venderla. Questa casina, così improbabile e bizzarra fu eletta sua sede d’evasione. I nobili proprietari delle ville intorno, e suoi futuri vicini, per ingraziarsi il re donarono “spontaneamente” parti delle loro terre, che tutte insieme avrebbero poi costituito il parco della nuova villa reale: nacque così il Parco della Favorita.

Ferdinando vi si stabilì stabilmente nel 1802, dopo aver concluso i lavori di ampliamento e di decorazione ad opera dell’architetto di fiducia Giuseppe Venanzio Marvuglia, già impegnato in altri lavori per i Borbone. Tutto l’edificio è di ispirazione orientale secondo il gusto della chinoiserie, che aveva invaso le corti d’Europa a partire dalla metà del XVIII secolo. Tutte le famiglie reali avevano almeno un piccolo angolo di gusto cinese, quando non veri e propri ambienti. La moda cinese, che poi dilagò in tutto ciò che era orientale senza troppa distinzione, era al tempo stesso ansia di novità, di aderenza alle nuove mode o anche voglia per la meraviglia per luoghi lontani e solo immaginati, una rêverie. In Italia i primi ambienti di gusto cinese apparvero a Torino nelle residenze Savoia (il Gabinetto Cinese a Palazzo Reale e le salette cinesi a Villa della Regina), ma un vero capolavoro di preziosismo fu il Salottino di Maria Amalia per la Reggia dei Portici (oggi al Museo di Capodimonte), da cui prese ispirazione il salottino del Palazzo Reale ad Aranjuez.
Si trattava però sempre di interni e di piccoli spazi mentre per la prima volta, a Palermo, si realizzò un intero edificio in stile, compresi gli esterni.

La struttura

Al primo piano si trova la grande sala di rappresentanza, decorata con pitture raffiguranti scene di vita orientale a cui erano accostate bellissime tappezzerie. Da questa si accede da una parte alla sala da pranzo, anch’essa decorata con scene orientali di campagna e al cui centro si trova la “tavola matematica” così chiamata perché, tramite un meccanismo di saliscendi, i piatti salivano pieni dalla cucina sottostante e ne discendevano vuoti; dall’altra parte invece si accede in quelle che erano le camere personali di Ferdinando, più preziosamente arredate, con il letto del re sormontato da un baldacchino con otto colonne di marmo bianco (oggi ricostruito molto fedelmente).

Il piano superiore invece era riservato alla regina Maria Carolina, la quale scelse una decorazione meno eccentrica. La sua camera dal letto è in stile neoclassico mentre altre camere intorno sono in stile pompeiano. Curioso sapere che la sovrana, che si dilettava di pittura, dipinse lei stessa alcuni decori, più esattamente dei piccoli ritratti monocromi della sua famiglia: sotto le testine dei figli, ancora bambini, aveva scritto “Immagini di mia tenerezza”; sotto il profilo di Ferdinando “Il mio sostegno”; sotto l’immagine del primogenito “La mia speranza” e poi sotto se stessa, sbagliando genere, aveva scritto nella didascalia “Me stesso”.

Al seminterrato si trova la sala da ballo, decorata dal Velasco in stile Luigi XVI, con finte rovine nella volta, più una serie di ambienti minori quali le cucine, la saletta dell’ udienza e il bagno del re con la grande vasca di marmo incassata nel pavimento.

All’esterno il primo piano, come il secondo, è caratterizzato da una balconata continua a cui si può accedere da due torri (realizzate nel 1806 dal real capomastro G. Patricola) con scale “a lumaca”, staccate dal corpo della costruzione. Il piano seminterrato si caratterizza, all’esterno, con un portico ad archi acuti in stile gotico, mentre la parte centrale dell’edificio si conclude con una “specola” o stanza dei venti, suggestivo ambiente ottagonale con copertura a pagoda.

FONTI: Giulia Sommariva, Storia della Palazzina Cinese

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Aesthete. Art historian & blogger. Content creator and storyteller. Fond of real and virtual wunderkammer. Founder and main author of rocaille.it.

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